
C’è una scena iconica in American Gigolò. Richard Gere attraversa Rodeo Drive, camicia aperta sul petto, giacca destrutturata, lo sguardo di chi sa esattamente chi è. La moda maschile, in quel momento, smette di essere contorno e diventa racconto. È corpo, potere, desiderio.
Milano, ogni gennaio, torna esattamente lì: a quell’idea di uomo che non chiede il permesso di esistere, ma si mette in scena.

Dal 16 al 20 gennaio, il capoluogo lombardo accoglie la Settimana della Moda Uomo Autunno Inverno 2025/2026, un appuntamento che più che anticipare tendenze misura lo stato emotivo del maschile contemporaneo. Tra sartoria che si ammorbidisce, silhouette che si allungano o si spezzano, e un nuovo romanticismo urbano, Milano si conferma laboratorio privilegiato di stile e visione.

Il ritorno della sartoria (ma senza rigidità)
Il calendario parla chiaro: Giorgio Armani resta il baricentro emotivo e simbolico della settimana. Le sue sfilate sono sempre più che semplici show: sono manifesti silenziosi su cosa significhi oggi essere eleganti. Accanto a lui, Brunello Cucinelli continua a scolpire un’idea di lusso umanistico, fatto di cashmere che sembra vissuto, di volumi che accarezzano il corpo invece di costringerlo.
La sartoria non scompare, ma cambia postura. Si fa meno autoritaria, più fluida. Il completo si indossa come un cappotto, il cappotto come una seconda pelle. È un’eleganza che non alza la voce, ma resta impressa. Un linguaggio che parla di maturità, di consapevolezza, di libertà.

Nuove mascolinità, nuovi linguaggi
Se Milano è tradizione, è anche terreno fertile per chi osa. Marchi come JW Anderson, Pronounce, PDF, Qasimi e altri nomi del nuovo panorama internazionale raccontano un uomo fluido, sensibile, a tratti fragile, che gioca con proporzioni, texture e codici culturali. Qui la moda diventa dialogo identitario, politico, emotivo, senza mai perdere il gusto per l’estetica.
Interessante anche la presenza di brand che lavorano sul confine tra streetwear e couture, come Bally, Dsquared2, Stone Island e K-Way, dove la funzionalità si trasforma in linguaggio fashion e il tecnico diventa desiderabile. Milano dimostra di saper accogliere linguaggi diversi senza snaturarsi, costruendo un equilibrio raro tra sperimentazione e riconoscibilità.
Le nuove voci: quando Milano diventa piattaforma (non solo palcoscenico)
Se i grandi nomi definiscono l’asse gravitazionale della settimana, sono le new entry a raccontare il futuro. Milano, sempre più consapevole del proprio ruolo culturale, si conferma piattaforma reale per i giovani designer che usano la moda come linguaggio e non come semplice prodotto.

Domenico Orefice porta in passerella una visione intima e sartoriale, dove la costruzione è precisa ma mai rigida. Il suo lavoro parla di un uomo colto, introspettivo, che rifiuta l’ostentazione e sceglie la profondità. È una moda che si muove tra classicismo e inquietudine contemporanea, fatta di dettagli che si scoprono solo da vicino, in un dialogo costante tra passato e presente.

Victor Hart lavora invece sulla tensione tra forma e istinto. Le sue collezioni sono racconti emotivi, quasi cinematografici, dove il corpo diventa superficie narrativa. Tessuti, volumi e layering sembrano rispondere più a uno stato d’animo che a una tendenza, restituendo una mascolinità fragile, intensa, profondamente attuale.

Satoshi Kuwata con Setchu rappresenta uno dei progetti più interessanti dell’intero calendario. Il suo approccio ibrido – tra cultura giapponese e sartoria europea – riflette una nuova idea di lusso intelligente: funzionale, colto, silenzioso. Setchu non cerca l’effetto immediato, ma costruisce un guardaroba pensato per durare, per accompagnare, per evolvere insieme a chi lo indossa.
Questi nomi non sono “giovani promesse” nel senso retorico del termine: sono autori, e Milano sembra finalmente trattarli come tali.
Digitale non come alternativa, ma come linguaggio
Il giorno finale, dedicato alle sfilate digitali, non è una chiusura minore, ma una dichiarazione precisa. Il digitale non sostituisce la passerella: la amplifica, la trasforma, la rende accessibile e narrativa.
In un momento storico in cui il tempo dell’attenzione è frammentato, presentare una collezione in formato digitale significa controllare il racconto, costruire un ritmo, scegliere un punto di vista. È cinema, è editoria visiva, è moda che dialoga con nuovi pubblici senza perdere autorevolezza. Milano, con questa scelta, dimostra di non subire il cambiamento, ma di governarlo.

Il lusso narrativo di Milano
Milano non è mai solo passerella. È atmosfera, ritmo, sottotesto. È la Galleria che brulica di buyer, i taxi notturni tra Via Tortona e Via Manzoni, i cocktail CNMI che diventano microcosmi sociali dove si decidono collaborazioni future. È una città che durante la Fashion Week maschile si muove come un set cinematografico: luci basse, cappotti importanti, silenzi studiati.
Marchi come Dolce & Gabbana, Zegna, Ferragamo e Canali continuano a raccontare un lusso italiano fatto di radici forti e sguardo internazionale. Un lusso che non ha bisogno di urlare per essere riconosciuto.

I pilastri: Zegna e Ferragamo, storia che continua a scriversi
Zegna non è solo un brand, ma un capitolo fondamentale della storia del menswear italiano. Fondata nel 1910, la maison ha costruito la propria identità sull’eccellenza tessile, sull’idea di lusso responsabile e su un rapporto profondo con il territorio. Oggi continua a ridefinire l’eleganza maschile come esperienza sensoriale e culturale, più che come semplice abito.
Ferragamo, con le sue radici nell’artigianato fiorentino e nell’innovazione tecnica, rappresenta un’altra declinazione del lusso italiano: sofisticato, sperimentale, mai statico. La moda uomo Ferragamo dialoga con l’heritage senza nostalgia, reinterpretando codici storici in chiave contemporanea, tra materiali ricercati e costruzioni impeccabili.
In entrambi i casi, la storia non è un peso, ma un vocabolario.

Una settimana che parla di uomini, ma riguarda tutti
La moda uomo oggi non è più una nicchia. È uno specchio culturale. Parla di genere, di potere, di vulnerabilità, di desiderio. Le collezioni Autunno Inverno 2025/2026 che sfileranno a Milano raccontano un maschile plurale, stratificato, finalmente libero di essere contraddittorio.
Come in quella scena finale di American Gigolo, quando l’immagine si incrina e lascia spazio all’emozione vera, anche la moda uomo sta smettendo di essere solo immagine. Sta diventando racconto.
E Milano, ancora una volta, è il luogo dove questo racconto prende forma.



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